Spesso l'Ipponate insisteva sulla distinzione tra cupiditas e charitas, si perchè in questa distinzione si gioca la "qualità" del nostro amore. Da quello egoistico dell'amore di sè, quello tanto per capirsi del "peccatore" (il segmento che si riduce ad un punto); a quello della "donazione totale di sè" perchè si vede il Creatore tramite la creatura, quello del "santo" (il triangolo: Io, persona amata e Dio, come spesso usavano immaginarlo i monaci egiziani).
La felicità, fine ultimo dell'amore, è qualitativamente e quantitativamente in funzione della persona amata: se questa è finita, sarà limitata; se questa è infinita sarà illimitato.
Per ora siamo incapaci di amare sempre con amore vero, quindi siamo un pò peccatori e un pò santi, per la Speranza lo saremo un domani.
Una
geometria dimenticata
Questa
misteriosa forza
che
ci spinge verso l’alterità
all’ansiosa
ricerca della felicità.
Bussa
alla porta di tutti
sia
peccatori che santi.
Mostra
un volto effimero
o
volendo imperituro.
Quando
incontra chi
vede
solo la creatura
con
gli occhi del corpo,
un
segmento: la cupidigia.
Quando
incontra chi
vede
anche il Creatore
con
gli occhi del cuore,
un
triangolo: l’amore.
Orlando
A. Cangià
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