venerdì 31 ottobre 2014





Il  primo ed il secondo giorno del mese di novembre dovrebbero essere considerati uno soltanto, sì perché la maggior parte de “i defunti”, che appunto per la certezza della loro appartenenza ad una nuova vita  andrebbero chiamati “i viventi”, sono santi.

Quell’alba del sessanta nell’ospedale italiano di Alessandria d’Egitto si verificava uno di quei casi in cui il “dies natalis” vede coincidere l’ingresso a questa vita con quello alla futura.  
La precedeva una nottata di concitazione nonché di lamenti, com’è normale che sia,  della mamma per le doglie del parto del  suo quinto figlio dopo me e tre sorelle.

Trascorsa la mattinata a scuola in preda all’angoscia del presentimento, al mio ritorno a casa vedevo mio padre seduto sul bordo del letto che in lacrime mi comunicava la nascita di un fratellino già volato in cielo.






A mio fratello


Rimembro il suo scarnito volto,
seduto immobile attendere,
era l’unica volta che vedea
mio padre voltarsi e piangere.

“L’ han chiamato Angelo, mi disse,
e dal tremito testé ho capito
che non vedremo il suo sorriso
né sentiremo il suo vagito.

Non conoscerà certo del recinto
l’ansia della clausura, dell’attesa
il silenzio e del presagio l’angoscia,

ma correrà giubilante nel prato
solo dopo aver abbracciato chi
non conoscendolo l’ ha amato.”




Orlando A. Cangià
 

domenica 26 ottobre 2014


La vera amicizia non è costruita sulla sabbia delle opportunità, dell'interesse e del proprio tornaconto, ma sulla roccia dell'amore disinteressato, della disponibilità specie nel bisogno e del dono della propria presenza a prescindere dalle paure e dalle critiche altrui.




Fondamento.


Sollecita cura e
continue premure
tanto per tempo edifica
uno sperato duraturo
perché solido maniero.

Vigorosa onda e
ben pochi attimi
tutto per sempre frana
solo profondo vuoto, ma
era sabbia, non roccia.




Orlando A. Cangià

sabato 11 ottobre 2014





Chi ha conosciuto e “fatto suo” il vero Amore, e l’unico figlio nella sua fanciullezza e nei suoi frequenti silenzi lo ha fatto certamente, non può che avere l’impulso a donarlo ad altri e cioè a diffonderlo, “bonum est diffusivum sui” (S. Tommaso d’Acquino), a tal punto da renderlo creatura nella persona amata, regalandole così il dono più prezioso, quello della maternità (matris munus).





A mio figlio


Allora bambino,
nella ricercata solitudine,
e talvolta tacito e intimo dolore,
a Colui che parlava al tuo cuore
non hai saputo dare altro nome
se non quello di unico Amore.

Oggi uomo,
L’hai conservato con alacrità,
nondimeno tanto gelosamente,
fino a condividerlo con la tua metà
per incarnarlo congiuntamente
in splendida ed appagabile realtà.




Orlando A. Cangià