Il
primo ed il secondo giorno del mese di
novembre dovrebbero essere considerati uno soltanto, sì perché la maggior parte
de “i defunti”, che appunto per la certezza della loro appartenenza ad una nuova
vita andrebbero chiamati “i viventi”, sono
santi.
Quell’alba
del sessanta nell’ospedale italiano di Alessandria d’Egitto si verificava uno di
quei casi in cui il “dies natalis” vede coincidere l’ingresso a questa vita con
quello alla futura.
La precedeva una nottata di concitazione nonché di lamenti, com’è normale che sia, della mamma per le doglie del parto del suo quinto figlio dopo me e tre sorelle.
La precedeva una nottata di concitazione nonché di lamenti, com’è normale che sia, della mamma per le doglie del parto del suo quinto figlio dopo me e tre sorelle.
Trascorsa
la mattinata a scuola in preda all’angoscia del presentimento, al mio ritorno a
casa vedevo mio padre seduto sul bordo del letto che in lacrime mi comunicava la
nascita di un fratellino già volato in cielo.
A mio fratello
Rimembro
il suo scarnito volto,
seduto
immobile attendere,
era
l’unica volta che vedea
mio
padre voltarsi e piangere.
“L’
han chiamato Angelo, mi disse,
e dal
tremito testé ho capito
che
non vedremo il suo sorriso
né
sentiremo il suo vagito.
Non
conoscerà certo del recinto
l’ansia
della clausura, dell’attesa
il
silenzio e del presagio l’angoscia,
ma
correrà giubilante nel prato
solo
dopo aver abbracciato chi
non
conoscendolo l’ ha amato.”
Orlando
A. Cangià