venerdì 31 ottobre 2014





Il  primo ed il secondo giorno del mese di novembre dovrebbero essere considerati uno soltanto, sì perché la maggior parte de “i defunti”, che appunto per la certezza della loro appartenenza ad una nuova vita  andrebbero chiamati “i viventi”, sono santi.

Quell’alba del sessanta nell’ospedale italiano di Alessandria d’Egitto si verificava uno di quei casi in cui il “dies natalis” vede coincidere l’ingresso a questa vita con quello alla futura.  
La precedeva una nottata di concitazione nonché di lamenti, com’è normale che sia,  della mamma per le doglie del parto del  suo quinto figlio dopo me e tre sorelle.

Trascorsa la mattinata a scuola in preda all’angoscia del presentimento, al mio ritorno a casa vedevo mio padre seduto sul bordo del letto che in lacrime mi comunicava la nascita di un fratellino già volato in cielo.






A mio fratello


Rimembro il suo scarnito volto,
seduto immobile attendere,
era l’unica volta che vedea
mio padre voltarsi e piangere.

“L’ han chiamato Angelo, mi disse,
e dal tremito testé ho capito
che non vedremo il suo sorriso
né sentiremo il suo vagito.

Non conoscerà certo del recinto
l’ansia della clausura, dell’attesa
il silenzio e del presagio l’angoscia,

ma correrà giubilante nel prato
solo dopo aver abbracciato chi
non conoscendolo l’ ha amato.”




Orlando A. Cangià
 

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